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La capanna del pescatore del lago di Bolsena


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Rifugio dalla burrasca, focolare domestico, magazzino, piccolo paradiso, microcosmo lacustre: in tanti modi poteva essere definita quella struttura intrisa di sapore arcaico, di antichissima origine e quasi fuori dal tempo, che fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso capitava ancora di intravedere nascosta tra i salici e i pioppi costieri. Si trattava della tradizionale capanna che i pescatori del lago di Bolsena costruivano sulle rive a ridosso delle acque utilizzando tronchi, pali e paletti di legno per le strutture portanti e canne palustri, legate con giunco e altri vegetali, per le pareti e il tetto.
La loro principale funzione era duplice: fornire ospitalità, soprattutto nel periodo estivo, alla famiglia del pescatore e fungere da ripostiglio per gli attrezzi da pesca.
La sagoma della cappanna (così si pronuncerebbe nel gergo dialettale) era pressoché quadrata e l'alzato era sorretto da una struttura portante realizzata con pali di cerro dotati in alto di una biforcazione in cui andavano ad incastrarsi orizzontalmente due pali minori laterali e uno centrale (detto nel gergo dei pescatori r'cavallo) così da costituire una solida ossatura per il tetto a doppio spiovente a cui veniva attribuita una considerevole inclinazione per consentire un rapido smaltimento dell'acqua piovana.

Le pareti, che così si mantenevano asciutte, erano formate da uno spesso rivestimento di fasci di canna palustre, tenuti assieme dalle cosiddette pertichine, paletti lunghi e sottili che venivano fissati orizzontalmente sia all'esterno sia all'interno formando un ordito resistente e duraturo. Anche il tetto era coperto da fasci di canna palustre e il suo culmine era rinforzato e reso impermeabile dal cosiddetto cappèllo, un ulteriore spesso intreccio di canne palustri e giunco. La porta, realizzata con fasci di canne o con tavole di legno, si apriva in genere dalla parte del lago ed era piuttosto piccola.
L'interno era relativamente semplice anche se estremamente funzionale. Lungo le pareti venivano piantate a terra le rapazzòle, paletti di legno destinati a sostenere una serie di pertiche che andavano a costituire la base per un rudimentale giaciglio, completato da un pagliericcio di foglie di granturco (pajjàccio) o più semplicemente da fasci di canne per offrire riposo al pescatore e ai suoi familiari, un tempo numerosi. Un rustico focolare, realizzato con semplici pietre, veniva acceso d'inverno al centro della capanna e d'estate all'esterno nell'ambito del procoio, un recinto di canne palustri attorno al quale venivano piantati anche pioppi e salici. Sul focolare si cucinava soprattutto la sbroscia, una zuppa di pesce di lago che veniva cotta in appositi recipienti in terracotta.
Alla tradizionale cappanna comincia a sostituirsi verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso il casinetto, un ricovero costruito in muratura, lamiera ed eternit, molto meno suggestivo ed ecologico della capanna ma molto più semplice e duraturo.

- di Pietro Tamburini -

Il casinetto del pescatore del lago di Bolsena che a partire dalla metà degli anni '70 ha gradualmente sostituito la tradizionale capanna



Il recipiente di terracotta che veniva utilizzato dai pescatori per la sbroscia, la zuppa di pesce del lago, spesso cucinata sul posto al rientro dal lavoro